In questa pagina trovate informazioni e notizie legate principalmente alla mia attività di regia documentaria e cinematografica, ma anche scritti, riflessioni, diari di viaggio, appunti.

Roma piazza Indipendenza. A. e B.




A. doveva fare il soldato.
Ma a lei non piaceva fare il soldato.
Le ragazze che l’avevano fatto avevano raccontato cose molte brutte. 
E molte altre non erano mai tornate.
Ma se in Eritrea non voleva fare il soldato aveva una sola alternativa: scappare.
Così A. è scappata.
Per oltre 3000 km via terra. In mezzo al caldo, la sabbia e la sete.
Ha pagato tantissimi soldi ed è arrivata in Libia.
L’hanno arrestata, venduta, arrestata di nuovo.
In tutto è rimasta otto mesi in carceri di caldo, merda e violenza.
Lì si è innamorata.
E con lui è riuscita a scappare, di nuovo.
Si sono nascosti e amati.
A. è rimasta incinta.
Lui le ha detto che non poteva partorire in quella terra di violenza.
Non c’erano ospedali sicuri e a molte donne portavano via i bambini.
A. doveva scappare, ancora.
Questa volta via mare.

Lui non aveva abbastanza soldi e così A. è partita per prima, da sola.
Lui l’avrebbe raggiunta subito dopo, ha detto.
Era pericoloso il mare. 
Molti suoi amici le avevano detto che era nero.
E molti non avevano più potuto dirle niente.
Il mare li aveva inghiottiti, per sempre.
Non sapeva nuotare e ha avuto paura.
La barca si è rotta. 
La sua pancia era già grande.
L’acqua e il cibo erano finiti.
Aveva visto solo una grande luce bianca e poi tutto si era spento.
Dicono che anche la morte è così.
Ma A. non è morta e quando si è svegliata in un letto bianco accanto a lei c’era sua figlia.
B. è nata poco dopo il loro arrivo, in Italia.
A. e B. sono state accudite per due settimane in quell’ospedale.
Poi le hanno portate in una casa dove c’erano anche altre mamme, da tanti paesi.
Un giorno hanno detto ad A. che aveva i documenti come rifugiata e che doveva firmare un foglio. 
Ma sotto quel foglio doveva anche lasciare le impronte delle sue dita.
A. non sapeva cosa significasse.
Intanto anche il papà di B. era arrivato.
Ma lui non aveva firmato nessun foglio ed era riuscito a scappare in Svezia.
Perché in Svezia c’erano dei cugini e dicevano che lì se sei rifugiato ti danno la casa e dei soldi.
L’ ha chiamata e le ha detto di raggiungerla insieme alla loro bambina.
Ma loro non potevano andare.
Colpa di quelle impronte.
Con le impronte doveva stare in Italia.
Non poteva andare da nessun altra parte.
Allora lui ha detto che tornava a prenderle. 
Ma non è mai tornato.
B.  cresceva e non c’era più nessuna casa dove A. e B. potevano stare.
Perché l’Italia è diverso dalla Svezia.
Ti dicono che hai il diritto di stare, anzi l’obbligo di stare, ma poi ti devi arrangiare.
Così A. ha cercato di arrangiarsi.
Un giorno ha trovato un lavoro, puliva la casa di una vecchia signora italiana, a Roma.
Ma lo stipendio era in nero e molto basso.
Le case a Roma costavano tanto, troppo.
Un’amica un giorno le ha detto che in tanti di loro stavano in un grande palazzo vicino alla stazione.
L’avevano occupato e per dormirci si pagava molto poco, anche niente se non si riusciva.
A. le chiede se è illegale e pericoloso.
Lei le spiega che il palazzo era occupato già da mesi e che nessuno aveva mai detto che era pericoloso. 
Anche la polizia lo sapeva, che lì molto vicino c’era una caserma.
Bisognava solo stare buoni e non fare confusione.
A. e B. si fidano e decidono di andare.
Si sta bene nel palazzo. 
E’ vicino alla metro per andare a lavorare e a pochi passi c’è una bella scuola per B.
Le maestre sono brave e B. ha subito tante amiche.
Finalmente B. sorride e dopo tanti anni anche A. inizia a stare bene.
Piano piano sente di poter ricominciare a vivere. 
Perché A. non aveva mai voluto fare il soldato e aveva dovuto sempre solo scappare.

Ma poi lo sapete come è andata a finire.
Un giorno d’estate dei soldati italiani con il casco blu sono entrati nella sua stanza nel palazzo, hanno spaccato tutto, hanno fatto paura a B., che piangeva e non capiva, che quegli uomini erano arrabbiati e con i bastoni rompevano i tavoli, gli armadi, i giochi. Spaccavano tutto e lei non sapeva perché.
Le hanno cacciate. 
Così oggi A. e B. dormono per strada, vicino a Tiburtina e hanno una sola alternativa: devono ricominciare a scappare.


P.S. ho conosciuto A. e B. al Palazzo di Via Curtatone due anni fa. Insieme a loro, tanti altri uomini e donne. Con loro abbiamo lavorato a diversi progetti di cinema e impegno sociale. Se volete conoscere una delle storie degli abitanti del Palazzo potete vedere qui Come il peso dell’acqua, di cui una delle protagoniste, Semhar, viveva nel palazzo all’epoca delle riprese.